
Un agente prese il mio telefono e sbloccò la schermata, trovando la foto che avevo indicato.
Montesi la osservò attentamente. La sua espressione non cambiò subito, ma notai che il suo sguardo si fece più attento, quasi preoccupato.
Passò il telefono ad Amber, che studiò l’immagine con la stessa intensità.
“È Luca,” disse Amber, rompendo il silenzio. “È evidente. Cosa stringe nella mano destra, maresciallo?”
Montesi annuì lentamente. “Non possiamo dirlo dalla foto. Potrebbe essere qualsiasi cosa… Ma…” Si interruppe, come se stesse riflettendo.
Amber incrociò le braccia. “Ma è sufficiente per approfondire. Dovremmo parlare con Luca.”
Montesi fece un cenno d’assenso, ma il suo volto era teso. “Prima, però, dobbiamo concludere qui.”
“Qui?”, ripetei, confusa.
Montesi si chinò verso di me. “Signora Rinaldi, questa foto potrebbe essere un indizio importante, ma lei è ancora coinvolta. È stata lei a consegnare la bottiglietta d’acqua a Martina, giusto?”
Sentii il panico salire. “Sì, ma era solo una bottiglietta normale! L’ho presa dal frigo di Chiara! Non l’ho aperta, non ho fatto niente!”
“Allora non ha nulla da temere,” disse Amber, con voce rassicurante. “Lasci che facciamo il nostro lavoro.”
Due ore dopo, ero seduta nel soggiorno di Chiara, con una tazza di tè fumante tra le mani.
Stefano era arrivato alla stazione con l’avvocato del suocero, che si era occupato di tutto. Mi avevano lasciata andare, con la promessa di non lasciare la città.
Chiara era crollata sul divano accanto a me, il viso gonfio per il pianto. “Non riesco a crederci,” sussurrò. “Martina… E poi, Luca. Come abbiamo fatto a non vedere niente?”
Non risposi. La mia mente continuava a girare attorno a quella foto. Perché Luca aveva stretto qualcosa in mano? E cosa?
Un pensiero mi attraversò la mente, tagliente e chiaro.
Non era finita. E io non avrei smesso finché non avessi scoperto tutta la verità.
Il giorno dopo, mi svegliai presto, il primo raggio di sole filtrava attraverso le tende della mia camera.
Era una mattina insolitamente silenziosa, ma la mia mente era tutto fuorché tranquilla.
Non riuscivo a togliermi dalla testa quella foto. Luca, la bottiglietta d’acqua, la mano chiusa attorno a qualcosa. Ripensavo a ogni istante di quella festa, cercando di ricostruire i dettagli, come pezzi di un puzzle. C’era qualcosa di storto in tutto ciò che era accaduto.
Chiara era rimasta da me quella notte. Dormiva sul divano in soggiorno, esausta per il peso degli eventi. Non avevo il coraggio di svegliarla, così scesi in cucina per farmi un caffè. La luce del mattino si rifletteva sulla caffettiera, il profumo intenso riempiva l’aria. Ma quel senso di normalità era solo un velo sottile sopra un abisso di domande irrisolte.
Ero sicura di una cosa: dovevo rivedere quella foto.
Presi il telefono e aprii la galleria immagini. La foto era ancora lì, ovviamente, ma questa volta mi concentrai sullo sfondo, non solo su Luca. Il riflesso nel microonde e nel forno mi disturbava ancora. All’inizio, lo avevo liquidato come un gioco di luci, ma ora mi sembrava quasi che qualcosa si nascondesse lì, qualcosa che non avevo notato.
Ingrandii la foto. Il riflesso non era nitido, ma si intravedeva una figura sfocata accanto a Luca. Un braccio. Una mano. E qualcosa che brillava.
Chi era quella persona? Più tardi, Stefano passò a trovarmi.
“Devo portarti fuori per un po’,” disse, appoggiandosi allo stipite della porta. Era sempre stato così, diretto e risoluto, quasi fastidiosamente sicuro di sé. “Hai bisogno di staccare.”
“Non posso,” risposi, stringendo la tazza di caffè. “Ci sono troppe cose che non quadrano.”
Stefano entrò e si sedette di fronte a me, fissandomi. “Anna, non sei una detective. Lascia fare alla polizia.”
“Non è così semplice,” ribattei. “Luca… C’è qualcosa che non va in lui. L’ho visto nella foto. E quel riflesso… Stefano, c’è qualcun altro lì. Qualcuno che non ricordiamo.”
Stefano sbuffò, ma il suo sguardo si ammorbidì. “Lo so che ti senti in colpa, ma non puoi fare tutto da sola. Ti metti solo nei guai.”
“Non è colpa mia,” dissi a denti stretti, sentendo le lacrime pungere gli occhi. “Io… Io non lo so cosa sia successo, ma non è colpa mia.”
Stefano si alzò e si avvicinò, poggiandomi una mano sulla spalla. “Lo so, Anna. Ma ora devi fidarti di chi può davvero risolvere questo pasticcio.”
Quella sera, Chiara ricevette una chiamata.
Eravamo di nuovo nel soggiorno, lei seduta sul divano, io a fissare il telefono come se potesse rispondermi. Quando il cellulare di Chiara squillò, saltai quasi per lo spavento.
Era Marco.
Chiara mise la chiamata in viva voce, il suo volto pallido e teso. “Marco? Dimmi che sta succedendo.”
“Non posso parlare a lungo,” disse lui, la voce spezzata. “La polizia mi ha appena interrogato di nuovo. Hanno trovato tracce di qualcosa nella bottiglietta d’acqua che Martina ha bevuto. Non so come sia successo, ma stanno indagando anche su di me.”
“Qualcosa? Cosa intendi per ‘qualcosa’?”. Chiesi, con la voce più alta di quanto volessi.
“Un allergene,” rispose Marco. “Noccioline. Martina era allergica, ma non portava mai con sé l’antistaminico. Loro pensano… Pensano che qualcuno abbia contaminato quella bottiglietta apposta.”
Il silenzio calò nella stanza. Chiara si coprì la bocca con una mano, mentre io fissavo il vuoto. Era quello che Montesi aveva insinuato. Martina non aveva mai aperto la bottiglietta prima di salire in macchina. Quindi, se c’era qualcosa dentro, doveva essere successo prima.
“Marco, tu…” Chiara esitò. “Hai visto qualcuno vicino alle bottigliette quella sera?”
Marco rimase in silenzio per un attimo troppo lungo. Poi rispose, piano. “No. Non lo so. Non ricordo.”
Ma io ricordavo.
Ricordavo Luca, vicino al frigorifero, con in mano una bottiglietta. E ricordavo quel riflesso. La mano. Qualcuno che gli porgeva qualcosa.
Ero troppo agitata per restare ferma. Presi il telefono e iniziai a scorrere i contatti.
“Che fai?”, chiese Chiara, guardandomi preoccupata.
“Voglio parlare con Gianni,” risposi. “Lui era lì, accanto a Luca, per quasi tutta la serata. Deve aver visto qualcosa.”
Quando finalmente riuscii a contattare Gianni, la sua voce era stanca.
“Anna, cosa vuoi? È tardi.”
“Gianni, devo sapere una cosa,” dissi, cercando di mantenere la calma. “Hai visto Luca fare qualcosa di strano quella sera? Vicino al frigorifero? Con le bottigliette d’acqua?”
Silenzio.
“Gianni?” … Insistetti.
Finalmente rispose, ma la sua voce era bassa, quasi impercettibile. “Non posso parlarne al telefono. Ma sì, Anna. Ho visto qualcosa. E non sono l’unico.”
Mi si gelò il sangue. “Cosa hai visto?”
“Ci vediamo domani. Al bar di Paolo, alle dieci. Ti spiego tutto lì.”
Le mani mi tremavano mentre chiudevo la chiamata.
Cosa sapeva Gianni? E perché non voleva dirlo al telefono? Sentivo che stavo arrivando vicino alla verità, ma ogni passo mi portava più vicina anche a qualcosa di oscuro, di pericoloso.
Quella notte non dormii. Aspettai l’alba, il cuore che batteva veloce, mentre i pezzi del puzzle si facevano sempre più chiari.
Domani avrei avuto risposte. Ma quale sarebbe stato il costo?
Il bar di Paolo era un posto tranquillo, di quelli che aprono presto e servono il caffè ai pendolari. Quando arrivai, Gianni era già lì, seduto in un angolo con un cappuccino davanti.
Indossava un giubbotto scuro e un berretto calcato sulla testa, nonostante non facesse freddissimo. Sembrava nervoso, il piede che tamburellava sotto il tavolo, lo sguardo che continuava a controllare la porta.
“Gianni,” lo chiamai sottovoce, avvicinandomi.
Lui alzò lo sguardo e annuì. “Siediti, Anna. Ma parla piano.”
Non ero sicura di cosa aspettarmi, ma la sua paranoia mi mise immediatamente a disagio. Mi sedetti, poggiando le mani sul tavolo per evitare che tremassero.
“Cosa hai visto, Gianni?”, chiesi cercando di mantenere il tono calmo.
Lui guardò intorno, controllando che nessuno ci stesse ascoltando. Poi si sporse in avanti. “Luca non era da solo quella sera,” sussurrò. “Quando ha preso quella bottiglietta d’acqua, c’era qualcuno con lui.”
Mi sentii gelare il sangue. “Chi?”
Gianni esitò. “Federica.”
Federica. Una delle amiche strette di Chiara. La ficcanaso della festa. La mente iniziò a girare furiosamente, cercando di ricordare ogni dettaglio di quella sera. Federica era sempre stata nei paraggi, sempre pronta a commentare, a ridere. Ma non avevo mai notato niente di strano in lei.
“Federica?”, ripetei incredula. “Ma perché avrebbe fatto qualcosa a Martina?”
Gianni abbassò lo sguardo. “Non lo so. Ma ho visto Luca porgerle una bottiglietta. Lei l’ha presa, l’ha girata tra le mani, e poi gliel’ha ridata. Subito dopo, Luca l’ha messa sul bancone.”
Mi mancava il fiato. Era possibile che Federica avesse messo qualcosa nella bottiglietta? Ma perché? E perché Luca non aveva detto niente?
“Gianni, perché non hai detto nulla alla polizia?”. Esclamai con la voce tesa.
Lui scosse la testa. “Perché non so niente di certo. E non voglio trovarmi in mezzo a questa storia. È pericoloso, Anna. Lascia perdere.”