Il mio telefono vibrò. Mi girai sul fianco per leggere il messaggio che mia cugina Chiara mi aveva appena inviato.

“Mi mandi la foto di tutte le ragazze in costume di ieri sera? Baci!”

La testa mi pulsava. Uscire con Chiara era sempre divertente, ma lei aveva otto anni meno di me e lei e le sue amiche adoravano bere ‘shottini’. Io, invece, avrei dovuto limitarmi alla birra per evitare il mal di testa del giorno dopo.
La prossima volta avrei fatto così.
Aprii la galleria foto sul mio telefono per cercare lo scatto che mi aveva chiesto. Era una foto di gruppo di cui non avevo alcun ricordo. Non c’erano tutte le persone presenti alla festa, solo le ragazze che si erano mascherate: cinque sorrisi esagerati. La diva, la ficcanaso, l’arrampicatrice sociale, la professoressa e la vecchia signora: tutte vestite per impressionare. Il costume più incredibile, però, era quello di una ragazza che non conoscevo, Martina, la nuova fidanzata di Marco, un amico di Chiara. Una bellissima ventenne che si era presentata con un trucco che la invecchiava di cinquantanni.
La foto non era granché, c’era un riflesso fastidioso del microonde di Chiara o qualcosa del genere, ma gliela mandai comunque e iniziai a scorrere le altre foto recenti. Non ricordavo nulla di quelle immagini.
Non che avessi un problema serio con l’alcol, ma tutti avevano alzato un po’ il gomito la sera prima. Persino il fidanzato di Chiara, Luca, aveva dovuto chiamarmi un taxi perché ero troppo ubriaca per guidare. Che imbarazzo.
C’erano foto di Chiara e Luca teneramente abbracciati; qualche selfie mio con altre persone, che erano disastrosi, visto che il trucco si era sciolto senza che me ne accorgessi; e una foto di un cadavere.
La cancellai subito: era sfocata. Poi mi girai talaltra parte e cercai di riaddormentarmi.
Quando Chiara mi aveva proposto una serata con delitto, mi era sembrata una cosa un po’ ridicola, ma lei era bravissima a vendere le sue idee.
“Vedrai che ci divertiamo un sacco,” mi aveva promesso davanti a un bicchiere di vino, qualche settimana prima. “Io però faccio l’attrice famosa, Josephine La Rosa, quindi quel ruolo non puoi prendertelo tu.”
Non ero mai stata a una serata con delitto, così Chiara mi spiegò il concetto. Ognuno avrebbe avuto un ruolo drammatico da interpretare, un’identità nuova per la serata. Uno di noi avrebbe fatto da moderatore, distribuendo dei cartoncini con le istruzioni su cosa dire e fare. Ad un certo punto, un personaggio avrebbe ricevuto un cartoncino che lo avrebbe istruito a fingersi ucciso. Da lì, gli altri avrebbero dovuto indagare, seguendo gli indizi, per risolvere il mistero.
Non mi piaceva l’idea. “Non sono proprio il tipo da giochi di ruolo,” le avevo detto. Lei aveva alzato le sopracciglia con aria maliziosa, facendomi ridere. “Sai cosa intendo: travestimenti, recitazione…”
“Devi farlo,” insistette. Sembrava una liceale esperta nell’arte della pressione psicologica.
Alla fine accettai, ma con una condizione: “Partecipo, ma non mi travesto.”
La sera della festa, mi ero imposta una regola: niente birra, solo cocktail.
Avevo la tendenza a bere le birre una dopo l’altra, mentre con i cocktail riuscivo a sorseggiare lentamente.
La festa era un incubo per me. Tutte le altre ragazze sembravano sicure di sé, perfette nei loro ruoli. Chiara era un’attrice di Hollywood effervescente. Le sue tre amiche più strette – Federica, Martina e Alice – si erano chiaramente preparate insieme, e i loro costumi erano spettacolari. Erano un gruppo affiatato, e mi fecero sentire la mancanza delle mie migliori amiche, che ormai vedevo raramente.
Ma fu quando Martina entrò nella stanza che iniziai a sentirmi sopraffatta. La sua entrata fu accompagnata da un coro di “oooh” e “aaah” per il suo costume e il trucco, mentre il nostro amico Gianni le rubava il bastone da vecchia signora per scherzo.
“Che piacere conoscervi tutti,” gracchiò Martina, imitando una voce da anziana. Com’era possibile che alcune ragazze fossero così belle da risultare affascinanti anche con un trucco grottesco?
Perfino Luca rimase a bocca aperta. Lo colpii con una gomitata, facendolo tornare in sé.
“È bella, sì, ma hai una fidanzata che è mia cugina,” gli sussurrai.
Lui scosse la testa, sorridendomi. Andavamo d’accordo. Da quel che mi aveva raccontato, anche lui era stato un brutto anatroccolo al liceo. Chiara mi aveva mostrato il suo vecchio annuario scolastico, ridendo affettuosamente dei suoi denti storti e del papillon. Ora, con qualche anno in più, l’apparecchio ai denti e un lavoro ben pagato, era diventato un vero “partito”.
Quel pensiero mi ferì un po’. I brutti anatroccoli possono crescere e diventare cigni… oppure finire come me, una papera goffa.
Il telefono vibrò di nuovo. Ero ancora a letto, anche se ormai era quasi mezzogiorno. Era di nuovo Chiara. Lei riusciva sempre a saltare giù dal letto dopo una serata di bagordi. Ecco la differenza tra ventisette e trentacinque anni.
La sua voce tremante e soffocata dal pianto mi colpì come un pugno nello stomaco.
“Martina è morta,” disse Chiara, quasi sottovoce.
Scoppiai a ridere. Martina era stata una “vittima” fantastica durante la serata con delitto. Era bravissima in tutto, persino a fingersi morta. Luca le aveva passato il cartoncino – ormai aveva smesso di fissarla, si era limitato a sorriderle rapidamente – e lei si era chiusa nel bagno di Chiara, sdraiandosi sul pavimento di piastrelle. Quando l’avevamo trovata, era ricoperta di “sangue”, avendo usato del ketchup preso dal frigo per rendere tutto più realistico.
“No, no, Anna.”
Mi bloccai.
“È davvero morta,” disse Chiara. “Marco mi ha appena chiamato dall’ospedale. È morta davvero.”

… Continua

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