«Andrea, mi dispiace tanto, mi sono completamente dimenticata di questo fine settimana. Sto male, quindi probabilmente non ce l’avrei fatta comunque. Se puoi aspettare, ti aiuto il prossimo weekend, te lo prometto. Ti voglio bene xxx.»

Le parole di Sara risuonavano nella mente di Andrea mentre la macchina affrontava l’ultima curva della strada sterrata. La pioggia aveva reso il percorso fangoso, e ogni buca faceva sobbalzare l’auto. Andrea strinse il volante con forza, chiedendosi perché fosse lì. Per senso del dovere verso una madre fredda e distante? Per una casa che lo aveva terrorizzato fin da bambino?
La facciata scrostata della casa lo accolse, carica di ricordi opprimenti. Aprì la porta di legno massiccio, spingendola con fatica, e l’odore stantio lo investì. L’interno era come lo aveva lasciato l’ultima volta: buio, polveroso, soffocante. Accese la torcia e si avventurò nel soggiorno, diretto alla libreria di suo nonno. Gli amati libri, e in particolare la copia di Il Signore degli Anelli, erano l’unica cosa che sperava di recuperare. Ma gli scaffali erano vuoti, come se qualcuno fosse già stato lì.
Mentre si chinava per controllare un vecchio armadio, un suono lo immobilizzò: una risata, distante ma nitida, che sembrava riecheggiare dalle mura stesse. Il ricordo di quelle notti passate con il cuore in gola tornò vivido. La casa aveva sempre avuto qualcosa di sbagliato, come se osservasse e respirasse con lui. La risata lo attirava verso le scale, ogni gradino un monito a tornare indietro. Nonostante il sudore che gli bagnava la schiena, continuò, spinto da un’irrazionale necessità.
In cima, la porta della vecchia stanza di sua madre era socchiusa. Andrea esitò prima di entrarvi. Ciò che vide lo lasciò senza parole: la stanza era stata trasformata in una sorta di altarino. Foto di sua madre da bambina, i suoi giocattoli, vecchi premi scolastici. Ma perché? Sua madre non aveva mai mostrato affetto per quella casa, né per la donna che l’aveva abitata. Una voce lo riportò alla realtà: una risata, più vicina, seguita da un sussurro.

«Non andare via, Andrea.»

Un brivido lo attraversò. Si voltò di scatto, ma la stanza era vuota. Fuori, i fari della sua macchina lampeggiavano, ma aveva le chiavi in mano. Il gelo di una mano sulla sua nuca lo fece sobbalzare.

«Resta con me, per sempre.»

La voce sembrava quella di una bambina. Andrea si girò e, al centro della stanza, vide una figura: una ragazza, seduta sul letto, stringeva una bambola. Somigliava a sua madre, ma era impossibile.

«Non andare là fuori, morirai. Voglio che resti qui con me.»

La paura esplose in un urlo soffocato, e Andrea corse giù per le scale, i passi rimbombavano come colpi di tamburo. Raggiunse la porta, tirò con tutte le sue forze fino ad aprirla quel tanto che bastava per uscire. Si gettò in macchina, girò la chiave, una, due, tre volte. Finalmente il motore si accese. Partì a tutta velocità, ignorando il cancello chiuso.
La strada davanti a lui era avvolta dall’oscurità. Il respiro era affannato, la mente un caos.
Cercava di convincersi che nulla di ciò che aveva visto fosse reale, ma la risata continuava a riecheggiare nelle sue orecchie. Poi, improvvisamente, un lampo di luce lo accecò. Frenò di colpo, il cuore in gola, ma non ci fu impatto. Era fermo in mezzo alla strada, l’auto immobile, il silenzio pesante.
Rimase lì per un tempo indefinito, il respiro lento, gli occhi fissi sull’oscurità davanti a sé. Poi qualcosa lo fece voltare verso lo specchietto retrovisore. Nulla. Eppure, in quella notte senza luna, Andrea giurò di aver sentito di nuovo quella voce:

«Ti avevo detto di non andare via.»

L’auto fu trovata solo il mattino seguente, abbandonata sul ciglio di una strada isolata. Il motore era ancora caldo, i fari accesi, ma dentro non c’era traccia di Andrea. Qualcuno parlò di un incidente, altri di un malore, ma la verità rimase avvolta nel mistero, così come quella casa e i segreti che custodiva.

Leave A Comment